Wei-ji is the Chinese ideogram of the word crisis, it is composed by the words danger and opportunity. In no other language it is so well condensed the meaning of the term.
La comunicazione del rischio: comprendere le percezioni -1
La comunicazione del rischio: una problematica con due diverse prospettive
Una delle maggiori frustrazioni dei comunicatori e del management di imprese e organizzazioni è rappresentato dalla difficoltà di indurre la gente ad assumere comportamenti di attenzione nei confronti di rischi reali e, per contro, di rassicurarla rispetto a rischi inesistenti o minimali.
Indossare la cintura di sicurezza quando si guida un’auto, il casco quando si conduce uno scooter, smettere di fumare, utilizzare il preservativo nei rapporti occasionali, indossare caschi e occhiali protettivi in officina – la lista di esempi in cui i risultati sembrano scoraggianti rispetto allo sforzo di sensibilizzazione e all’ovvietà del pericolo e dei benefici risultanti potrebbe continuare infinitamente – sono alcuni dei casi che hanno visto imponenti campagne di comunicazione e, spesso, l’abbinamento della minaccia di contravvenzioni o altre misure punitive per ottenere l’adeguamento degli individui.
Per contro, l’opinione pubblica sembra reagire in modo isterico ad altre minacce, molto più improbabili, e ad assumere atteggiamenti contrari a nuovi ritrovati tecnico-scientifici sulla base di paure irrazionali. Residui di pesticidi nei cibi, onde e campi elettromagnetiche, diossina, radiazioni nucleari, organismi geneticamente modificati sono alcuni esempi di argomenti che hanno generato reazioni irrazionali e, su cui i ragionamenti portati avanti per sedare le reazioni del pubblico non hanno sortito grande effetti.
Man mano che l’evolversi delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie rende possibili traguardi, impensabili solo poche decenni orsono, consentendo enormi miglioramenti delle condizioni e dell’aspettativa di vita di milioni di persone, imprese e autorità si trovano a dover fronteggiare sempre nuovi timori della gente (gente che, per i politici, ricopre anche l'importantissimo ruolo di elettori…). E il problema di come superare le reazioni irrazionali del pubblico è diventato per molti un problema di attualità. In effetti fino a pochi anni orsono la sola idea di comunicare l’esistenza di un rischio veniva considerata in ambiente aziendale come folle. E’ alla fine del 1986, con l’approvazione da parte del Congresso USA del Superfunds Amendments and Reauthorization Act (SARA) che, al titolo III imponeva, analogamente alla europea Direttiva Severo, l’informazione alle comunità locali sui rischi rappresentati dagli insediamenti industriali e sui piani di emergenza, che la problematica della comunicazione del rischio viene affrontata in modo scientifico, partendo dalle conoscenze socio-psicologiche sui meccanismi di percezione individuali dei fattori di rischio.
I miti degli uomini di impresa
Questa analisi ha avuto come primo effetto quello di smascherare una serie di miti che aleggiavano fra tecnici e uomini di impresa:
- La gente vuole il rischio zero
In realtà la gente assume consapevolmente dei rischi su base quotidiana. La gente è abituata ad assumersi rischi a fronte di benefici evidenti. Molta gente è abituata a svolgere attività lavorative o a praticare sport che comportano rischi anche elevati. Inoltre la gente, come conseguenza di giochi e lotterie, ha generalmente una buona comprensione del concetto di probabilità
- Comunicare l’esistenza di un rischio genererebbe allarme fra il pubblico
In realtà emerge come un ritardo nell’informazione venga percepito come “volontà di nascondere i fatti” mentre una informazione precoce viene spesso percepita in modo rassicurante come segno di “trasparenza”.
- Dobbiamo far comprendere dalla gente concetti tecnici complessi
In realtà, più che i freddi dati tecnici, sono le emozioni che giocano un ruolo predominante nella percezione del rischio. La percezione del rischio è un fenomeno prettamente emotivo: a fronte di un rischio la gente non cerca la comprensione dei più reconditi aspetti tecnici, ma l’affidabilità di chi ha la responsabilità di controllare il rischio. Non è la conoscenza delle leggi dell’aerodinamica che fa superare la paura di volare, ma l’abitudine e la fiducia nel pilota e nella compagnia aerea.
Sfatati questi miti, l’altro effetto dell’analisi è stato quello di evidenziare che aziende e istituzioni hanno verso il rischio un atteggiamento completamente diverso da quello dell’opinione pubblica e che il concetto stesso di rischio è differente per i tecnici e per la gente comune. La gente vuole decidere: “è un rischio che vorrei accettare?” “come mi regolerei di fronte a questo rischio?”. Per contro, aziende e istituzioni tendono a rispondere “Abbiamo deciso per voi”, “Abbiamo pensato a tutto noi”, “fidatevi di noi”. E questo atteggiamento da parte dei tecnici e delle autorità si scontra con l’atteggiamento di base della gente e con il fatto che la credibilità di scienziati, tecnici, politici e funzionari pubblici continua a diminuire, per una svariata serie di motivazioni, presso l’opinione pubblica.
Due modi diversi di definire il rischio
Paura e rischio sono due concetti diversi, spesso , però, sono usati come sinonimi.
Alcune delle situazioni più temute difficilmente presentano un rischio reale. Se facessimo un lungo elenco degli incidenti possibili e lo ordinassimo in funzione del tasso di mortalità annuo e poi lo confrontassimo con lo stesso elenco ordinato in funzione di quanto questi pericoli allarmano il pubblico, vedremmo delle differenze eclatanti tra i due gruppi. I rischi che uccidono la gente e i rischi che spaventano la gente si trovano agli opposti di queste due liste.
Ci sono pericoli che spaventano la popolazione senza che questi incidano negli indicatori di mortalità, mentre le statistiche di decesso sono composte da rischi che raramente sono presi in seria considerazione.
Chi ha una formazione culturale di tipo tecnico-scientifico sostiene che la percezione del rischio da parte dell’opinione pubblica è condizionata da una forte componente di ignoranza e irrazionalità. A questo solitamente si aggiunge la considerazione che il pubblico è facilmente manipolabile dai media sensazionalistici e dai gruppi politici più radicali. Questo atteggiamento, troppo spesso adottato dalle industrie nel passato, oggigiorno non è più accettabile.
Consideriamo la definizione di rischio data dai tecnici:
Rischio = Magnitudine x Probabilità
dove con Magnitudine si intende quanto un evento è infausto e con Probabilità quanto frequentemente accade. Sulla base di questa definizione, un evento che uccida un individuo su cento ogni dieci anni rappresenta un rischio di uno su mille o, secondo la Community Risk Scale, un rischio 7, come quello di morte per un individuo di 40 anni, per qualsiasi causa, nell’arco di un anno.
Questa definizione ha spinto i tecnici a rassicurare la gente attraverso paragoni e analogie. Paragoni e analogie che si sono rivelate invariabilmente inefficaci, se non controproducenti a dispetto della creatività dei loro autori.
La causa di questi insuccessi va ricercata nel fatto che invariabilmente questi paragoni ponevano a confronto rischi che appartenevano a categorie differenti secondo i meccanismi di percezione del pubblico finivano per trasmettere un atteggiamento di sufficienza e di indifferenza agli interessi dell’interlocutore da parte di chi li prospettava.
I meccanismi di percezione del rischio sono meccanismi sostanzialmente emotivi, in cui la componente razionale di analisi del rischio gioca solo una parte, la parte più determinante è giocata dall’offesa che il pericolo rappresenta per l’individuo.
Peter M. Sandman - un esperto nella comunicazione del rischio che ha iniziato i suoi studi proprio partendo dall’esigenza di sensibilizzare i cittadini verso i rischi reali e si è poi indirizzato anche al problema di rassicurarli verso quelli inconsistenti – ha coniato una equazione che definisce il rischio in termini più ampi di quanto fossero soliti i tecnici:
Risk = Hazard + Outrage
Con Hazard (pericolo) intende ciò che causa il danno (o morte), e tutto il resto che viene percepito da pubblico ma ignorato dai tecnici lo chiama Outrage (offesa). Non si tratta di una semplice scomposizione semantica bensì è la necessità di evidenziare quella componente, spesso impalpabile, che crea la spaccatura tra l’opinione pubblica e l’azienda coinvolta.
Questo accade perché gli esperti, quando valutano un rischio, focalizzano l’attenzione solo sulla componente Hazard, considerandola tout court rischio. Secondo il loro punto di vista la definizione data da Sandman non è altro che la separazione tra rischio oggettivo (reale) e rischio soggettivo (suggestione).
Quello che Sandman vuole sottolineare è che l’offesa (outrage) ha rilevanza tanto quanto il pericolo (hazard) e che il rischio viene percepito e dimensionato sulla base della sommatoria di due valori quello razionale e quello emotivo generato dall’offesa. Come conseguenza di questo meccanismo rischi con analoga componente di pericolo (1 su 10'000 per esempio) sono percepiti in modo differente se la componente di offesa è maggiore in uno dei due. E una eventuale analogia viene rifiutata come falsa.
Cosa determina l’offesa?
Questa definizione sarebbe inutile, se non fosse possibile determinare cosa genera l’offesa. Solo la comprensione di questa componente consente di sviluppare strategie di comunicazione in grado di essere efficaci.
Gli studi sulla comunicazione del rischio hanno identificato fino a un massimo di 35 variabili da considerare per definire la componente outrage. La tabella seguente riporta le principali 16 variabili in nella percezione del rischio:
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Volontario |
Involontario | ||
Familiare |
Non Familiare | ||
Controllabile |
Incontrollabile |
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Controllabile dall’individuo |
Controllabile da altri |
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Equo |
Ingiusto |
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Non memorabile |
Indimenticabile |
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Non temuto |
Temibile |
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Cronico |
Acuto |
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Diffuso nel tempo e nello spazio |
Concentrato nel tempo e nello spazio |
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Non fatale |
Fatale |
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Immediato |
Ritardato |
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Naturale |
Artificiale |
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E’ possibile una attenuazione da parte dell’individuo |
E’ impossibile una attenuazione da parte dell’individuo |
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Individuabile |
Non individuabile |
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Moralmente irrilevante |
Moralmente rilevante |
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Fonti di informazione poco credibili |
Fonti di informazione credibili |
Una prima considerazione che emerge da questa tabella è che due rischi possono essere estremamente dissimili fra loro (a parità di reale componente di pericolo) in funzione di come sono correlati a queste variabili. Se per esempio creiamo un quadrato che abbia per assi le prime due variabili, volontarietà e familiarità (intesa anche come comprensione delle conseguenze), possiamo collocarvi differenti rischi:
Confrontare rischi che si collocano in quadrati differenti non avrà successo, in quanto il paragone non sarà accettato dagli interlocutori. Gli unici confronti che possono funzionare sono quelli fra rischi che si collochino nello stesso quadrante. E’ abbastanza evidente che data la quantità di variabili che influenzano la percezione del rischio, è molto difficile che confronti e analogie rivestano un forte potere comunicazionale.
Analizziamo alcune di queste variabili:
Volontarietà
La volontarietà è il principale fattore nella percezione del rischio: a parità di componente di “pericolo”, un rischio cui si è esposti a prescindere dalla nostra volontà viene percepito tre volte più rischioso di uno che si è assunto volontariamente. E’ quindi evidente come difficile sia ottenere l’accettazione di insediamenti industriali o dell’utilizzo di componenti o ingredienti percepiti “rischiosi”. E’ necessario creare meccanismi di coinvolgimento che generino la sensazione di partecipare alla decisione e accecano la volontarietà.
Naturale verso Artificiale
I rischi naturali sono percepiti inferiori ai rischi di natura industriale. Le dichiarazioni del professor Ames che sosteneva che il basilico conteneva carcinogeni naturali molto più potenti dei residui di fitofarmaci sono state accolte con entusiasmo solo dagli esponenti dell’industria chimica, ma non hanno influito minimamente sull’atteggiamento del pubblico verso i pesticidi. Un altro esempio interessante è rappresentato dal radon: circa un terzo delle abitazioni del New Jersey settentrionale hanno infiltrazioni di radon nelle loro fondamenta tali da aumentare dell'1% il rischio di sviluppare un tumore del polmone nell’arco della propria esistenza. Nonostante l’attenzione data dai media al problema solo il 5% degli abitanti della zona hanno effettuato un monitoraggio del radon nelle loro abitazioni e anche fra costoro il livello di preoccupazione è modesto.
L’origine del radon in questa area risiede nell’uranio geologico; vi è da tempo immemorabile e nessuno può esserne incolpato. Per contro tre comunità del New Jersey (Montclair, Glen Ridge e West Orange) hanno avuto a che fare con un differente problema che coinvolgeva il radon: una discarica che conteneva rifiuti industriali radioattivi. Sebbene i rilevamenti nelle abitazioni della zona non fossero superiori a quelle del New jersey settentrionale, gli abitanti di queste tre comunità erano spaventati ed ottennero dal governo una spesa dell’ordine di centinaia di migliaia di dollari per abitazione per bonificare la discarica. La proposta dello Stato di diluire il terreno e smaltirlo in una cava abbandonata nella località rurale di Vernon provocò la più grande manifestazione ambientalista della storia del New Jersey.
Familiarità
La familiarità con un rischio aumenta il suo grado di accettazione. Sempre restando nel tema radon si comprende come la gente sia poco propensa a considerare la propria abitazione insicura anche se degli esperti rilevano un tasso di radiazioni più alto del valore basale. Analogamente, per quanto possa essere vero è evidente come cercare di rassicurare dei lavoratori dicendo che il rischio per loro all’interno di un impianto è inferiore a quello che corrono usualmente a casa loro sia un messaggio che tende a rivelarsi controproducente.
Un’eccessiva familiarità è infine anche la causa di incidenti di cui non si considera mai l’eventualità, come per esempio gli incidenti domestici.
Memorabilità
Ci sono diverse forme di memorabilità. L’esperienza personale è una di queste. Le persone che vivono in un’area ad alto rischio sismico considerano più seriamente l’eventualità che la loro abitazione possa crollare a seguito di un terremoto. Per chi ha vissuto questo tipo di esperienza il solo oscillare di un lampadario è sufficiente a metterli in serio allarme.
Oltre all’esperienza personale, anche le notizie, le immagini o i simboli veicolati dai media, hanno un fonte impatto sull’opinione pubblica. Bophal, Chernobil, Severo, hanno un forte potere evocativo, così come il classico fusto metallico. Fra le migliaia di composti chimici con caratteristiche tossiche, la diossina ha assunto una posizione che accresce automaticamente la percezione del rischio quando questa sostanza è coinvolta.
Temibilità
La malattia che spaventa di più al giorno d’oggi è l’AIDS, la seconda è il cancro. Queste due malattie allarmano molto di più di altre che hanno comunque tassi di mortalità paragonabili, quali per esempio l’epatite o l’infarto. Il "vettore" del rischio percepito gioca un ruolo importante: l'acqua contaminata è peggiore dell'aria contaminata, l'aria è peggio di un solido. I rifiuti sono percepiti più pericolosi delle materie prime. Fusti marchiati come rifiuti tossici sono percepiti più pericolosi (a parità di livello di tossicità) di fusti marchiati come materie prime tossiche: non è logico, ma è reale.
Il timore del pubblico non deve essere rifiutato o deriso, ma accettato; solo così è possibile spostare l'attenzione del pubblico dall'offesa emotiva al pericolo reale.
Diffuso nel tempo e nello spazio rispetto a concentrato nel tempo e nello spazio
Un rischio che comporta decessi diffusi su tutto il territorio nazionale nell’arco dell’anno viene percepito come inferiore ad un rischio che concentra i suoi effetti: questo è il motivo per cui le morti da incidente automobilistico sono percepite meno preoccupanti di quelle da incidente aereo. Le imprese tendono troppo spesso a concentrarsi sulla riduzione della probabilità dell'evento avverso, piuttosto che a ridurne l'impatto.
Un grande pericolo a bassa probabilità corrisponde a una elevata offesa. Il pubblico vuole sì una riduzione della probabilità, ma soprattutto della magnitudine dell'evento.
Equo verso ingiusto
Come sono distribuiti i benefici connessi al rischio? L’equità nella distribuzione di benefici e pericoli è un elemento che influenza notevolmente la componente di “offesa”. Un rischio in cui la componente di “pericolo” è bassa, ma che vede i benefici concentrati (per esempio sotto forma di profitti) su altri viene tendenzialmente rifiutato. La famosa sindrome NIMBY (not in my backyard) trova le radici proprio in questa variabile.
Moralità
Le categorie morali hanno un peso superiore ai dati di rischio. La nostra società ha sviluppato il consenso sull’immoralità dell’inquinamento – non solo perché dannoso o pericoloso, non come qualcosa che vale la pena di impedire quando possibile, ma come qualcosa di sbagliato in quanto tale. Una volta che l’opinione pubblica ha deciso che qualcosa è moralmente sbagliato, il linguaggio negoziale è insufficiente. Non è più accettabile inquinare poco, dovete cercare (non necessariamente riuscirci) di non inquinare del tutto. Potete non raggiungere il livello zero, ma questo deve essere il vostro obiettivo.
Predire la risposta del pubblico
La comprensione dei meccanismi di percezione del rischio consente una valutazione di come un rischio sarà percepito, di quale potrà essere la risposta del pubblico, l’individuazione di quali sono le variabili su cui lavorare per facilitare l’accettazione (o, per stimolare una presa di coscienza quando il nostro compito è di motivare all’azione verso un rischio “reale”), la messa a punto delle conseguenti strategie di comunicazione.
Soprattutto, la comprensione dei meccanismi di percezione evidenzia come l’emozione è il fattore principale che deve essere affrontato e come una strategia di comunicazione del rischio non possa prescindere dall’accettazione della legittimità della risposta emotiva. “E’ stupido preoccuparsi di…” è la frase ideale per chiudere i canali di comunicazione con i nostri interlocutori.
Le fasi della percezione del rischio
Così come rischi reali vengono ignorati o sottostimati, un rischio può essere improvvisamente creato dove il pubblico si sentiva sicuro. Un prodotto, un processo, un impianto ritenuti sicuri nel passato vengono adesso dipinti come pericolosi. un terreno viene improvvisamente cintato e vengono visti dei tecnici aggirarsi con indumenti protettivi. Elizabeth Kubler-Ross descrive cinque stadi "di elaborazione dell'afflizione" che si applicano, come naturale serie di reazioni ad ogni circostanza negativa della vita, anche alla percezione del rischio:
- Rifiuto: "A me non succederà...", "Se non mi è ancora successo niente..."
- Collera: "Con che diritto ci avete esposti a ciò..."
- Negoziazione: "Non potete spostare l'impianto...", "non potete ridurre le emissioni in cinque anni..."
- Depressione: "Perché non ce lo avete detto prima..."
- Accettazione: "Comprendo il rischio che comporta. Questa azienda, questo prodotto sono importanti, è un rischio che posso accettare..."
Il pubblico deve essere accompagnato attraverso queste fasi, per arrivare da solo alla fase finale. La comunicazione deve essere bilanciata in funzione della fase in cui si trova il nostro interlocutore. Informazioni diverse sono necessarie nelle differenti fasi, una informazione efficace in una fase finale può essere controproducente in una fase iniziale. L'offesa ha bisogno di potersi sfogare, non si può fronteggiare la collera con dati fattuali, ma sono necessari messaggi emotivi, comprensione e partecipazione.