Wei-ji è l’ideogramma cinese del termine crisi, è composto dalle parole pericolo e opportunità. In nessuna altra lingua è così ben condensato il significato del termine.
SARS: La prima epidemia del XXI° Secolo, come è stata vissuta dalle imprese.
Grande clamore ha suscitato nei giorni scorsi l’annuncio di un nuovo caso a Singapore. In effetti l’epidemia di SARS è stata dichiarata a luglio dall’OMS “sotto controllo” ma non “sradicata”. Con la ripresa della stagione influenzale è infatti atteso una sua recrudescenza, accompagnata dalla difficoltà di una diagnosi differenziale e di rapidi strumenti di screening. Dopo un primo caso a Guandong a metà novembre del 2002, si era dovuto attendere fino a febbraio di quest’anno perché le autorità sanitarie cinesi informassero l’OMS di un’epidemia che aveva fatto colpito 300 persone facendo 5 vittime. Ben presto i casi avevano cominciato a manifestarsi fuori dai confini della Cina e il 5 marzo si registrava la prima vittima in Canada.
Agli inizi di maggio di quest’anno i colleghi della branch francese dell’European Crisis Management Partnership, la MGVM consultants, sono partiti per la Cina per assistere, sotto gli auspici del programma di sviluppo delle Nazioni Unite, il governo di Pechino nella gestione dell’informazione sull’epidemia, in particolare per aiutare la municipalità a migliorare i rapporti con le organizzazioni internazionali (OMS, UNDP, CDC) e con i media occidentali. Un compito che li ha visti dedicare due settimane a chiarire la situazione, definire una strategia e ad identificare e addestrare i portavoce, lavorando a stretto contatto con più di un centinaio fra scienziati, funzionari e politici cinesi. L’organizzazione di una unità di crisi e di un centro media, la realizzazione di documenti, il media training dei portavoce ha prodotto un recupero di credibilità da parte del governo di Pechino, il riconoscimento da parte dei giornalisti occidentali che la loro relazione con le autorità cinesi erano migliorate, il riconoscimento da parte dell’OMS che la collaborazione delle autorità di Pechino era diventata più stretta e più trasparente. Questo a dimostrazione che una metodologia consolidata poteva funzionare anche in una situazione senza precedenti e che poteva essere adattata ad un contesto politico e sociale molto differente da quello cui siamo abituati in occidente.
Sulla scia di questa esperienza, è stata condotta dall’ECMP una ricerca su un campione di grandi imprese europee per valutare l’impatto della emergenza SARS nel mondo del business, come avevano reagito le imprese, quali erano state le fonti di informazione, e quali erano i bisogni.
Alla ricerca hanno aderito una cinquantina di grossi gruppi europei, molti con interessi anche in Asia, dei più svariati settori. Sebbene la risposta dell’opinione pubblica sia apparsa contenuta, rispetto alla copertura riservata dai media, che hanno praticamente spostato sulla SARS gli spazi che fino ad allora avevano dedicato alla guerra in Iraq, la nuova epidemia, la prima del ventunesimo secolo, ha rappresentato un serio problema per il 60% delle imprese e una vera e propria crisi per un altro 20%. Una crisi o un problema molto preoccupante di cui sono state portate a conoscenza dai media prima che dalle autorità sanitarie. Se il 56% era stato allertato prima dell’annuncio dell’OMS del 12 marzo, la fonte di informazione rappresentata per il 55% dai media, per il 28% dalle proprie antenne in loco, solo per il 20% dalle autorità sanitarie nazionali o internazionali. Il peso delle “antenne in loco” è confermato dal fatto che il 45% ha basato propriosulle informazioni che venivano dalle proprie subsidiaries asiatiche le proprie decisioni. Critico il giudizio nei confronti delle informazioni ricevute dalle autorità sanitarie nazionali: tardive per l’83%, insufficienti e di difficile interpretazione per il 40%.
I numeri dell’epidemia |
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Più di 8500 casi a livello mondiale, di cui 5300 in Cina |
812 morti, i cui 346 in Cina, 39 in Canada, 1 in Francia |
Se a luglio, il 70% delle imprese si dichiarava ben informato sulle precauzioni generali che dovevano essere assunte (aree da evitare, disinfezione, etc.), la maggioranza lamentava ancora una carenza di una informazione più completa: sull’estensione e la possibile durata dell’epidemia e sui suoi possibili portatori (chi erano le persone che potenzialmente potevano trasmettere l’infezione) per il 60% e sul tipo di epidemia in questione per il 40%.
Se un 56% delle imprese era stata messa sull’avviso prima del 12 marzo, poco più della metà, solo il 30%, aveva adottato delle misure. La reazione era poi stata indirizzata verso un’informazione capillare dei dipendenti e sull’adozione di misure precauzionali:
- Il 90% ha diffuso informazioni a tutti i dipendenti, nel 56% dei casi via email;
- L’85% ha sospeso viaggi e missioni;
- Il 30% ha cancellato eventi commerciali;
- Il 30% ha adottato misure di quarantena per i propri dipendenti in Europa e il 25% per quelli in loco;
- Il 15% ha rimpatriato proprio personale a titolo precauzionale.
Se la reazione alla prima informazione è stata calma ma preoccupata nella stragrande maggioranza delle aziende, comunque la metà ha dovuto rispondere a preoccupazioni e richieste dei propri dipendenti delle loro famiglie e il 15% ha dovuto affrontare richieste di rimpatrio e il 13% rifiuti a viaggiare.
In sostanza l’esperienza della SARS evidenzia la necessità, ma anche la difficoltà di una informazione sulle issue sanitarie emergenti, e che in assenza di una pronta reazione da parte delle autorità sanitarie un’epidemia può diventare una grave crisi. Anche le imprese devono giocare un ruolo al proprio livello, non potendo demandare alle sole autorità pubbliche la gestione di queste situazioni. D’altronde la nostra società deve fare i conti con un contesto internazionale che vede l’insorgere di nuove patologie (quali il virus del Nilo occidentale o il vaiolo dei primati), il drammatico aumento nell’ex Unione Sovietica, in Africa e Asia di AIDS, tubercolosi, malaria, una facilità e rapidità di movimento delle persone tra i continenti, movimenti migratori massicci e spesso clandestini che pongono nuovi problemi di igiene e riportano in occidente patologie che si ritenevano sradicate.
Per le imprese questo rappresenta nuove sfide: la necessità di saper cogliere i segnali premonitori dell’insorgere di una urgenza sanitaria che potrebbe impattare direttamente sul suo business e sulla sua reputazione, l’individuazione di punti di riferimento per comprendere e valutare i problemi.
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